"Tutt'altro che tipico"

La cosa che adoro di più della letteratura per ragazzi è che è LETTERATURA.

Solitamente vengo presa per fessa, anzi un po' rimbambita visto che di letteratura "vera" per un bel po' me ne sono occupata veramente... E invece il fatto sta che nella media dei libri, pur sempre dentro una scelta di qualità, nei libri per ragazzi non sento quasi nei quegli artifici che lo scrittore o la scrittrice necessariamente mette in pratica. La tecnica. C'è sempre ma il trucco è non farla sentire, non farla vedere. Il contratto lettore narratore tiene bene e deve farlo tanto più quanto il destinatario reale è un ragazzo o una ragazza...è difficile parlare con un adolescente figuriamoci parlargli attraverso la scrittura! È lì che si vede la bravura ed è per questo che lì molti grandi autori falliscono o hanno fallito. Scrivere per adulti o immaginando un pubblico adolescente non è la stessa cosa... Anche se il risultato può andare molto vicino l'uno all'altro, nei casi migliori.

Dopotutto qualunque sia il protagonista o la storia l'autore scrive sempre di sé, no? Se non altro perché le parole escono dalla sua mente. Quando poi scrivere può diventare vivere... il gioco della scrittura si fa pericoloso.
Per un ragazzo di dodici, tredici anni in su scrivere è vivere, in quel marasma che si muove nel corpo e nella mente di un individuo che attraversa il periodo forse più critico della vita, tutto può diventare segno, simbolo, metonimia di identità.
La scrittura in primis.
Che siate neurotipici o meno la cosa è del tutto indifferente.
" anche se mia madre non lo sapeva, io potevo fare una sola scelta. Potevo tenere il mio nome con tutte le lettereve i suoni e tutti i suoi non significati. O potevo scomparire.
Ed è stato allora che ho incominciato a scrivere storie".

 

La citazione è da un grande libro per ragazzi, non meno grande per i cosiddetti adulti: Tutt'altro che tipico  di Nora Raleigh Baskin edito da Uovonero.
In quale punto della propria esistenza un ragazzo riesce a riconoscere se stesso? A guardarsi allo specchio e accettarsi pur sapendo che quello che sta guardando non è se stesso ma un pallido riflesso bidimensionale di tutte le parole che gli girano dentro?
Jason, il protagonista, non è quello che lui definirebbe un "neurotipico" ma di assolutamente tipico ha la necessità di riconoscersi in se stesso. La scrittura, come tante volte, è vita parallela, nascondiglio o semplicemente evasione. Jason è un grande scrittore si storyboard...ma nell'urto con l'esistenza vera la scrittura sembra perdere fora, potere.
Solo quando la scelta di vita avviene la scrittura sarà davvero dirompente. "Madame Bovary c'est moi" di Flaubert vale anche per Jason ed ancor di più quando Jason decide che il suo protagonista non vivrà una vita diversa per compensare la "tutt'altro che tipicità" del proprio creatore, ma esattamente la stessa anche se in altre forme.
Nulla come la letteratura può farci entrare davvero nel mondo e nella mente di qualcun'altro. Nulla come la letteratura può azzerare le distanze tra mondi diversi per farci trovare un pezzetto del nostro anche in quello apparentemente più diverso, o semplicemente lontano dalle attese.

Grande potere della grande letteratura!
Senza aggettivi (né per letteratura né tantomeno per i lettori!)

P.s. Ce l'ho fatta a chiudere il post, quasi, senza dire esplicitamente che Jason, il protagonista è un ragazzo autistico. Senza usare la parola autismo. Non volevo questo potesse dare una qualche luce alla storia o alle mie riflessioni su di essa e invece adesso mi rendo conto che ho messo in atto il tipico processo del pregiudizio. Come direbbe Jason, e credo tutti gli autistici del mondo, ai neurotipici piace dire le cose non vere, diverse da come sono.

E niente è assolutamente più vero su questo.




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